a cura di Alessia Amato

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La Venere di Urbino, realizzata dal Tiziano, è uno dei capolavori dell’arte rinascimentale custodito presso la Galleria degli Uffizi a Firenze.

Nel 1538 Guidobaldo Della Rovere, duca di Camerino e futuro duca di Urbino, inviò un suo agente a Venezia per ritirare il quadro della “donna ignuda” presso la bottega del famoso pittore. Da un carteggio pervenuto sappiamo che il giovane rampollo aveva più volte chiesto alla madre, Eleonora Gonzaga Della Rovere, il denaro per l’acquisto dell’opera ma la matrona era stata irremovibile. In qualche modo, il giovane riuscì a provvedere al pagamento e, finalmente, poté entrare in possesso della celebre Venere.

Secondo l’interpretazione più accreditata, il dipinto doveva servire come modello “didattico” per Giulia Varano, la giovane moglie del duca, sposata nel 1534 per ragioni politiche quando la fanciulla aveva solo dieci anni e, all’epoca del dipinto, un’adolescente chiamata ad assolvere ai propri doveri coniugali. L’opera, dunque, avrebbe avuto la funzione di preparare una giovane alla dimensione erotica del matrimonio e poiché la modella del quadro è stata identificata come la celebre cortigiana veneziana Angela Del Moro con cui Tiziano usava intrattenersi, l’arte della seduzione costituisce un elemento essenziale nel ruolo coniugale della sposa.

Venere di Urbino di Tiziano: analisi

L’opera ritrae Venere distesa completamente nuda su un letto. La camera è composta con arredamenti moderni, lontana dalle ambientazioni greco – romane a cui si era soliti ricorrere in quel periodo. La donna appoggia il braccio sul cuscino rivolgendo lo sguardo all’osservatore tra la sfida ed il pudore. La mano sinistra poggia sul pube coprendolo: se da un lato, potrebbe apparire come un invito, dall’altro, potrebbe risultare una forma di protezione istintiva che segue l’atto sessuale ormai compiuto. Con la mano destra, invece, stringe un mazzo di fiori che potrebbe essere considerato un dono dell’amato o il simbolo del tempo che scorre e della bellezza destinata ad appassire. Ai suoi piedi riposa un cagnolino da compagnia: un esplicito riferimento alla fedeltà, un elemento fondamentale all’interno del matrimonio del quale l’opera era allegoria.

Questa donna nuda è felice, potente ed irresistibile. Sensuale, disponibile, audacissima e, al contempo, di una purezza sublime. Fin da subito oggetto di desiderio, di imbarazzo e di scandalo negli spettatori. Capace di suscitare, negli artisti, una cupidigia altrettanto violenta: possederla replicandola. È, forse, il quadro più copiato di tutti i tempi. Fino ad oggi i pittori che si sono confrontati con lei ne hanno offerto una versione più casta o più lasciva ma, nonostante i rifacimenti, la Venere di Tiziano è unica nel suo genere. Di certo, Tiziano si ispirò ad un’opera dell’amico Giorgione del 1510 riprendendone la posizione ma mutando completamente il senso del quadro.

La Venere dormiente di Giorgione (1507-10 circa)

La Venere di Dresda dorme. Si accarezza il pube ma, probabilmente, in sogno o per coprirsi, come gesto di pudore privo di alcuna provocazione. Non sa di essere osservata. La Venere di Tiziano è sveglia e consapevole di essere al centro dell’attenzione: ella ci guarda e, con le labbra, accenna ad un sorriso. Nel primo, la donna potrebbe essere in dolce attesa e, dunque, il simbolo della vita e di una ciclicità determinata dall’amore. Nel secondo, è il corpo della donna a trionfare in tutta la sua maestosità: la bellezza della carne nuda che sigilla ogni mistero.

File:Tiziano, venere di urbino 03.jpg - Wikipedia

Dietro la donna emergono altre due figure: una pare più giovane e cerca qualcosa con la testa china dentro ad una grande cassa; l’altra accanto, in piedi, intenta ad osservarla. Sono due ancelle che stanno tentando di trovare un vestito appropriato da far indossare alla Venere. Il dipinto, così, si pone su due livelli, offrendo all’osservatore l’impressione di guardare più scene differenti in una.

Il fulcro del quadro, però, sono gli occhi puntati su chi guarda e le dita in movimento su quel sesso che tutto muove e da cui tutto ha origine. La combinazione di malizia e di tenerezza raggiunge una perfezione concettuale, emozionale, stilistica e pittorica irripetibile. Impossibile pensare che Tiziano non ne fosse consapevole.