È il 1979 quando Paul Auster inaugura la sua brillante carriera di scrittore con L’invenzione della solitudine dedicato al rapporto con il padre scomparso. In Diario d’inverno egli prova a fare un bilancio della sua vita attraverso un’intima analisi della propria fisicità fino a toccare le profondità dell’animo.

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” Piaceri fisici e dolori fisici. I piaceri del sesso, innanzitutto, ma anche quelli del mangiare e del bere, di stare nudo in un bagno caldo, di grattarti un prurito, di starnutire e di scoreggiare, di stare a letto un’ora in più, di voltare la faccia verso il sole in un mite pomeriggio di tarda primavera o d’inizio estate a sentire il tepore posarsi sulla pelle. Quando sei perso, guardati intorno. Dubita di tutto e cancellalo. Hai una sola certezza: tu sei lì. Lo sei perché c’è il tuo corpo e tu sei il corpo. Il tuo corpo è lo spazio che hai attraversato, ma anche il tempo che ti ha reso ciò che sei. ”

Il tempo te lo porti scritto addosso: le cicatrici sono parole (questa racconta di quando bambino scivolasti così vicino a un chiodo da poterne rimanere cieco, quest’altra ti ricorda di quando quasi uccidesti tua moglie e tua figlia) e le parole sono cicatrici (quelle che ti disse tua madre dopo che la sentisti parlare al telefono con un uomo che non era tua tuo padre). Ma non c’è il solo dolore.

C’è il piacere, tutto il piacere che hai vissuto, che ti ha travolto in questi sessantaquattro anni: da quello che provi guardando il collo di tua moglie al mattino, a quello che ti insegnerà una prostituita nel Quartiere Latino quando tu, ventenne solitario e senza un soldo a Parigi, l’ascoltasti sbalordito recitare a memoria una poesia di Baudelaire. E infine il corpo da cui il tuo corpo ha iniziato a esistere, quello di tua madre. La sua storia e il tuo rapporto con lei sono il cuore pulsante di questo libro. Hai capito dal silenzio con cui hai accolto la notizia della sua morte e dalla crisi di panico che ne è seguita – fu come sentire il tuo stesso corpo fuggire da te – che qualcosa era cambiato, che dovevi fermarti a ricapitolare. Che eri entrato nell’inverno della vita”.

L’inverno di cui parla rappresenta i suoi quasi 66 anni, età in cui si ripercorrono le stagioni passate nel tentativo di dare loro un senso riordinando i ricordi. Accantonate le trame della fantasia, egli pone al centro della narrazione se stesso puntando sulla fisicità e sulle sensazioni corporee per approfondire le proprie riflessioni sulla vita, sul tempo che scorre, sulla permanenza nel mondo. Tempo, ritmo, rintocco, cadenza, flusso ”il tempo che si muove eppure non si muove, tutto diverso eppure tutto uguale”.

4321" di Paul Auster, una scatola magica che ha bisogno di lettori ...


Paul Benjamin Auster (Newark, 3 febbraio 1947) è uno scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico statunitense.

In questo libro diverso da tutti gli altri di Paul Auster è riscontrabile l’intimità, il respiro che accelera e poi si spezza, riprende a tratti e poi, si frantuma e continua per, poi, riassestarsi. E ricordi. Pagine che nascono dall’archivio narrativo di momenti salienti, un bilancio di ciò che è la vita: dell’autore ma, più in generale, di tutti ed, in particolare, di quanti hanno superato la soglia dei fatidici “anta” perché è da quel punto in poi che si avvicendano per ognuno/a le esperienze comuni della perdita dei propri cari, dell’analisi più attenta delle proprie scelte, degli affetti, delle relazioni o almeno così dovrebbe essere. Come una pellicola che si riavvolge di continuo, la vita prende a scorrere davanti agli occhi a volte sfilacciandosi o scivolando rapida e forse, in qualche momento, annodandosi su se stessa.

Così il corpo ci segue, amico-complice ma anche crudele tiranno, lungo l’intricato sentiero della memoria ricordandoci che esso è un contenitore prezioso di cui bisogna prendersi cura << quanti battiti di palpebre? Quante ore trascorse con una penna in mano? Quanti baci dati e ricevuti?>>.

L’autore ci coinvolge nel suo resoconto servendosi della seconda persona, si rivolge ai lettori con domande precise, elenca le sue ferite da bambino, i luoghi in cui ha vissuto e descrive le case in cui ha abitato. Il racconto segue un ordine cronologico, ondivago e, fin dalla prima pagina, veniamo sbalzati dai 6 ai 10 anni e poi ai 64 per tornare indietro attraverso i vari traslochi, innamoramenti e cambiamenti di varia natura.

Quest’autobiografia, scritta con tono confidenziale, porta il lettore a sentirsi profondamente compreso nella sostanza di tutto il non detto rispetto all’esistenza; al procedere ripetitivo e denso della vita di ognuno. Un libro di grande respiro che emoziona, fa riflettere e trasmette entusiasmo, amore per la scrittura ed un forte attaccamento alla vita.

<<Le storie, anche noi, le ereditiamo, le condizioni, i volti, i cuori, le vesciche, deboli e colpiti. Il suo cuore ha dell’acqua attorno a sé, sta annegando, il cuore malato, il male al cuore, la parte colpita, il battito misurato in te che a volte è troppo svelto>>.

Alessia Amato per L’isola di Omero