Olympia è il nome del dipinto nonché del soggetto ritratto da Édouard Manet nel 1863. Attualmente l’opera si trova al museo d’Orsay di Parigi.

Egli pensava all’Olympia sin da quando si recò in Italia nel 1857. In questa occasione, infatti, prese spunto dalla Venere di Urbino di Tiziano per comporre la figura di una donna. Si mostrò da subito attratto dall’idea di rappresentare il corpo femminile nudo e disteso.

Il dipinto fu esposto solo due anni dopo la realizzazione, in occasione del Salon del 1865. In questo caso l’opera suscitò immediatamente uno scandalo di proporzioni enormi, forse ancora più di quello provocato dalla Colazione sull’erba.

La donna nella figura rappresentava una prostituta, e ciò fu giudicato scandaloso dalla critica del tempo, tanto che persino Gustave Courbet condannò l’opera.

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Olympia (1863), Édouard Manet, museo d’Orsay, Parigi.

A scatenare il biasimo della critica e lo sdegno fu anche il ricorso al modello classico. Come già accennato, Olympia è una trasparente derivazione iconografica della Venere di Tiziano, che Manet tuttavia reinterpretò deliberatamente secondo il proprio gusto: era un iter che sarebbe divenuto distintivo di Manet, il quale si rifiutava di riprodurre mimeticamente i grandi modelli classici e li sottoponeva a una destrutturazione per riadattarli alla contemporaneità.

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Venere di Urbino (1538), Tiziano Vecellio, Galleria degli Uffizi di Firenze.

Mentre la Venere tizianesca – secolare simbolo della bellezza – è molto dolce, pudica e antierotica, Olympia ostenta senza problemi la sua cruda nudità e la sottopone spudoratamente alla voracità degli sguardi altrui: non ha problemi nel farlo, perché è ben consapevole della propria sensualità. Le sue forme, pur irradiando un’innegabile grazia, sono tuttavia acerbe e spigolose, e non hanno alcunché di divino. Non possiede le dolci sinuosità proprie delle divinità classiche, bensì risponde a un’aderenza al vero che trascura le esigenze del decoro e delle auree proporzioni.

Cosimo Guarini per L’isola di Omero