Il mito del progresso avanza e tocca tutto. Le nazioni si sviluppano, le società si evolvono e si proiettano verso nuovi orizzonti ma, al tempo stesso, le origini dell’umanità costituite da un mondo rurale e tradizionale iniziano a perdere terreno: l’uomo si allontana sempre di più dalla propria storia. Questo accade, ad esempio, negli Usa degli anni 30′: gli Stati Uniti d’America sono la nuova potenza economica per eccellenza, un modello per altri paesi al quale ispirarsi.

Sogno e crescita rappresentano un binario sul quale sfreccia questo treno inarrestabile. D’altra parte, c’è chi vede l’evoluzione con grande sfiducia: sente il peso degli effetti collaterali e tenta di ritornare alle origini opponendosi al rinnovamento e, quasi, maledicendolo. È l’ottica del regionalismo pittorico che nasce in questi anni e, nel cui ambito, si muovono i pittori che vivono lontano dalle metropoli rifiutando la tecnologia alla quale preferiscono il mondo provinciale e campestre, privo di ritmi frenetici.

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Nel 1930 Grant Wood, componente attivo e principale di questo discorso artistico, nell’opera intitolata American Gothic conservata presso il The Art of Institute of Chicago ci racconta questo sentimento di ribellione che anima gli artisti del suo tempo. Ispirato dalla vista di una piccola casa colonica dal tipico stile architettonico nordeuropeo mentre passeggiava tra i campi di Eldon, nell’Iowa – suo paese natale – l’artista provò ad immaginare gli abitanti di quella piccola dimora dai toni caratteristici e decise di dare vita ad una scena apparentemente di genere ma che, ancora oggi, cela numerosi interrogativi: chi sono i protagonisti di questo quadro e qual è la loro storia? Sono sposati o si tratta di padre e figlia immortalati uno accanto all’altra? Di certo, chiara è la volontà del suo autore di rappresentare la dignità dei valori morali della classe media dell’America rurale nel cosiddetto Midwest che possiamo notare, fin da subito, spostando lo sguardo sullo sfondo della scena.

Grant Wood- American Gothic.

Entrambi si pongono in primo piano guardando fuori dalla tela in una postura dal carattere fortemente stilizzato, un omaggio alla tecnica fiamminga rinascimentale che ha il suo maggiore esponente in Jan Van Eyck e che Wood aveva studiato durante un viaggio a Monaco nel 1928. Restano avvolti nel mistero l’obiettivo e il messaggio globale dell’opera che, però, offre numerose chiavi di lettura: il dipinto è austero, con una sottile vena ironica nella rappresentazione dei personaggi – con l’uomo che impugna il forcone, il suo strumento di lavoro – simbolo dell’attaccamento alle proprie radici culturali. La donna, molto più giovane rispetto all’uomo, ha un impatto diverso sull’osservatore: il vestito semplice appesantisce le sue forme e il viso ha una sfumatura malinconica, forse a simboleggiare la condizione di vita dura e sofferta che deve affrontare ogni giorno. Risaltano i valori puritani dell’America coloniale e la dimensione di chiusura che vigeva in quegli anni.

L’opera viene da subito interpretata come un ritratto comico, a causa dell’assurdità della scena e dei suoi protagonisti. Il dipinto incuriosisce il grande pubblico, conosce una rapida diffusione grazie alla pubblicazione su numerosi quotidiani attirando l’attenzione dell’opinione pubblica americana. Oggi costituisce un’icona pop, al pari della Gioconda e della Venere del Botticelli: originale ed enigmatica, resiste ai rigidi canoni della critica e delle classificazioni, diventando un simbolo atemporale ed immortale sempre al servizio dell’attualità.

Alessia Amato per L’isola di Omero