Tra i numerosi passi presenti nel libro della Genesi, vi è quello della descrizione della torre di Babele. Fonte dalle diverse interpretazioni e rappresentazioni artistiche, essa simboleggia univocamente la nascita delle differenti lingue nel mondo: infatti, fino a quel momento, gli uomini avevano condiviso lo stesso linguaggio.

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Ed è proprio a questo punto, che secondo la leggenda, gli esseri umani furono separati gli uni dagli altri per lingua e cultura.

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All’origine di questa separazione, si delineano due differenti correnti di pensiero: secondo alcuni, la consapevolezza di portare altrove le proprie conoscenze maturata nell’animo umano, portò l’uomo a disperdersi per il mondo; altri studiosi ritengono invece, Dio come responsabile dell’accaduto, per l’imperdonabile superbia umana, che condusse l’uomo a sfidarlo costruendo appunto la famosa torre per difendersi da un secondo diluvio.

Quanto descritto dal libro dalla Parashah di Bereshit (il primo dei cinque libri della Torah), l’elemento che differenziò maggiormente gli uomini fu una lingua improvvisamente non più comune che non consentì loro più di comprendersi appieno. Difatti, nel linguaggio attuale, il termine Babele, in senso figurato, indica la confusione, utilizzato non a caso anche nel linguaggio comune con questa accezione. Di quest’ultima abbiamo una rappresentazione incisoria di Gustave Doré, proprio intitolata La confusione delle lingue, del 1868.

Se si volesse collocare la Torre di Babele a un edificio storico esistente, lo si potrebbe sicuramente ricondurre dal punto di vista archeologico alla grande Ziqqurat (conosciuta anche come Etemenanki), tempio del periodo mesopotamico, progettata nel XII secolo a.C. a Babilonia (nell’attuale Iraq) sotto l’imperatore Nabucodonosor I e terminata con Nabucodonosor II.

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Della reale presenza della Ziqqurat babilonese possediamo la testimonianza attendibile dello storico greco Erodoto: egli nella seconda metà del IV secolo a.C., visitò la città, e descrisse l’edificio come molto imponente, con otto torri una sull’altra e con in cima un tempio.

Antonella Buttazzo per L’isola di Omero