“Credo che questa camera da letto sia il mio miglior lavoro”.
Con queste parole Vincent Van Gogh (1853 – 1890) descrive La camera, in due lettere indirizzate al fratello Theo e all’amico Gauguin. Si tratta della sua camera da letto presa in affitto ad Arles, dopo la fuga dalla caotica Parigi.
Una finestra illumina l’ambiente semplice, con pareti color lillà e il pavimento di un rosso consumato dal tempo. L’arredo è composto dal letto, due sedie e un tavolo; delle giacche sono appese a un appendiabiti, dietro la testiera del letto, mentre alle pareti ci sono i suoi quadri, tra i quali si distingue uno dei suoi celebri autoritratti.

I colori sono carichi e puri, stesi a strati corposi che rendono le pennellate molto evidenti; nonostante la costruzione prospettica sia corretta, si crea ugualmente un senso di vertigine: le linee del pavimento e del letto sembrano correre all’indietro, risucchiate dal punto di fuga fissato sulla finestra, generando un angoscioso senso di instabilità.

Ciò che Van Gogh ha cercato di raffigurare è il senso di quiete e di pace che quella camera gli donava, un riposo illusorio considerato che da lì a poco l’artista sarebbe stato internato presso un ospedale psichiatrico. Era un luogo angusto più che una camera eppure fu il luogo segreto di un’anima desiderosa della bellezza. Vincent dipinse un quadro che rappresentava tutto il suo disagio, il doloroso confronto con una realtà che lo rifiutava e infatti tutto in questa tela ci comunica la fatica di vivere dell’artista: le due sedie, metafora dell’attesa e dell’assenza; la finestra chiusa sull’orizzonte luminoso, simbolo del desiderio di Van Gogh di emergere dalle tenebre in cui si trovava. Tenebre dalle quali non uscirà mai, concludendo la sua tormentata esistenza a 37 anni, col suo genio riconosciuto solamente dopo la prematura morte.
Rosa Araneo per L’isola di Omero