In un’epoca in cui il materialismo ne era protagonista, si stagliò la figura affascinante e complessa di Wassilij Kandinskij.
Considerato il padre dell’astrattismo lirico, egli si fece promotore di una ricerca pittorica e spirituale che sfocerà in una sintesi espressiva astratta, per mezzo di una schematizzazione dei colori a linee e a forme geometriche come manifestazione esterna dell’interiorità.
Questa ricerca, a tratti ossessiva, scaturì durante la permanenza a Vologda, nei pressi di Mosca. Qui Kandinskij poté affermare che un’opera d’arte è considerata tale solo se deriva da una necessità psichica interiore, obbedendo di conseguenza a un profondo equilibrio di forme, colori e musica (non ci stupisce infatti che alcuni dei suoi quadri siano denominati come ‘’composizioni’’).
Prima di questa rivoluzione, avvenuta nel primo decennio del XX secolo, i soggetti prediletti dell’artista russo erano paesaggi di piccolo formato di evidente stampo impressionista e simbolista, popolati da personaggi tipicamente fiabeschi d’ispirazione germanica, medievale e russa.
I numerosi viaggi compiuti in Europa lo portarono a immergersi nell’atmosfera parigina, dove esplose il movimento espressionista fauve, tanto da condurlo nella stesura del saggio Lo spirituale nell’arte (1911), il quale darà vita a un acceso dibattito sulla percezione dei colori, delle linee e delle forme come sintesi di uno stato psichico.
Così, con l’amico e collega pittore Franz Marc, decise di fondare il gruppo Il cavaliere azzurro con l’obiettivo di raccogliere scritti, riproduzioni contemporanee, orientali e folkloristiche. Con tale proposito, il cavaliere azzurro si erse come simbolo di spiritualità spinto da una forza, energia interiore, ossia quella passionale e psichica. Ed ecco che Kandinskij, comincia pian piano a sostituire ai colori e alla prospettiva piana del fauvismo colori antinaturalistici: scompare il volume dando spazio a una vera e propria composizione di linee e colori, esattamente come una sinfonia musicale.
Con l’incarico di accademico svolto in Germania, l’artista instaurò un forte rapporto con il Costruttivismo (da cui poi si discostò, per una lettura meno scientifica e razionale), dal quale nacque la sintesi Punto e linea sul piano (1926) e ivi, spiegò gli studi condotti sull’organizzazione spaziale ed espressiva della rappresentazione geometrica.
Seguendo tali costrutti, ne derivò la potente percezione dei suoi quadri, dove i cerchi blu trasmettono serenità, il giallo racchiuso in triangoli energia e dinamicità, donando un perfetto equilibrio all’intera opera, senza sbalzi emotivi o drastiche rotture psichiche.
Antonella Buttazzo per L’isola di Omero
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