Conservato presso il Museo Nazionale di Capodimonte, questo monumentale olio su tela, fu realizzato fra il 1607 ed il 1608 dal grande Michelangelo Merisi, fuggito a Napoli.

Il dipinto si presenta in tutta la sua magnificenza e con ciò non si vuole alludere esclusivamente alle sue dimensioni fisiche (286 x 213 cm), bensì alla profondità del contenuto che Caravaggio volle sublimare, seppur con ricorrenti incertezze durante la sua realizzazione.

Una prima veloce analisi farebbe ricadere l’attenzione sulla luce o, meglio, sul modo in cui è distribuita. Essa si rivolge verso il corpo di Cristo, avvolgendo nell’oscurità il luogo, ma in maniera più decisa gli aguzzini del Signore. Questo non fu un buon periodo per l’artista, poiché, appunto, quello a Napoli non si presentò come un soggiorno. Caravaggio fu costretto a rifugiarsi a Napoli per evitare l’arresto per l’omicidio di Tomassoni.

Si può, dunque, addurre che l’utilizzo del buio, del tetro, figurasse il suo reale stato d’animo. Tuttavia, questa prima interpretazione dell’opera non è del tutto completa. Semplicemente, attraverso questi giochi di luce, egli volle sottolineare il fatto che i torturatori, a differenza di Gesù, stavano agendo in nome del peccato, dell’oscurità. Raggiante è, d’altro canto, il corpo di Cristo.

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Proseguendo con un’attenta analisi, però, si comprende che il dipinto propone più volte il tema della diversità fra gli aguzzini e Cristo. Attraverso l’espressione facciale dell’oscuro personaggio (gli altri due si intravedono soltanto) , ad esempio, è possibile notare quanto egli sia privo di una qualsiasi umanità e quanto la violenza e la rabbia lo abbiano assuefatto contro la sua volontà.

Al contrario, com’è reso evidente, il volto di Gesù è completamente abbandonato a sé stesso. Egli è inerme, la sua sofferenza è contenuta ed il capo chino potrebbe essere sinonimo di umiltà d’animo. Nonostante gli intelligenti utilizzi della luce e le volute espressioni facciali, il dipinto non si arresta e porta all’occhio dell’osservatore un’ulteriore considerazione. Il corpo anatomicamente perfetto di Cristo si eleva in movimenti leggeri, sinuosi, quasi ad inverare una danza; d’altra parte abbiamo, invece, le posizioni statiche dei torturatori, i quali sono tutti in procinto di commettere violenza, eppure è come se questa impossibilità, questa vera e propria interruzione, fosse voluta.

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Non tutti sanno, però, che Caravaggio volle rappresentare il dramma in due opere differenti fra loro e oggi molto distanti geograficamente.

L’opera di cui abbiamo finora trattato sembrerebbe essere la seconda delle due tele intitolate La Flagellazione di Cristo. La prima, attualmente, è conservata presso il Musée des Beaux Arts a Rouen.

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Prescindendo dalla scelta della tela stessa (una verticale, l’altra orizzontale), le differenze che percorrono i dipinti non sono affatto poche. Tuttavia, è proprio questo che gli ha permesso, come affermato prima, di sublimare il suo messaggio nella seconda interpretazione.

Angela Cerasino per L’isola di Omero