Il dipinto, realizzato fra il 1818-1819 da Theodore Gericault, propone la riflessione oggettiva d’un dramma realmente accaduto nel 1816.
Volendo brevemente trattare della sua composizione fisica, Le Radeau de la Méduse, è un olio su tela (491×716 cm), conservato nel Museo del Louvre a Parigi.
Gericault dipinse con pennelli di piccola dimensione e con colori ad olio particolarmente viscosi, che diedero modo all’opera di asciugare rapidamente; questa scelta, probabilmente, esplica la necessità dell’artista di divulgare il prima possibile la sua idea, oppure, il fatto che egli avesse ben chiaro il dramma del naufragio.
Difatti, la tavolozza dei colori utilizzati per la rappresentazione è carica di espressività: toni pallidi per i corpi dei sopravvissuti, sottoposti a diversi mali (fisici e psicologici), e per le stesse sagome dei morti, e colori tetri, scuri, fangosi per destare una sorta di empatia nell’osservatore.
A donare un piccolo spiraglio di luce, è l’orizzonte ove si trova la nave Argus che trarrà in salvo i naufraghi.
È proprio qui che, l’osservatore, ritroverà quella speranza smarrita all’inizio della contemplazione dell’immagine.
Il dipinto è stato accuratamente spartito in due strutture piramidali: la prima piramide delineata dalla zattera stessa, la seconda dai corpi ormai privi di vita sui quali emergono i pochi sopravvissuti intenti a richiamare l’attenzione della nave.

La tragedia è resa evidente mediante una chiave di lettura imposta dallo stesso Gericault, il quale fece sua nei minimi dettagli la vicenda. Essa si prolungò per diverse settimane, causando un numero di morti non trascurabile: solo quindici furono i sopravvissuti.
Tuttavia, gli avvenimenti furono ancora più macabri di quanto lo stesso artista sia riuscito ad immaginare, o perlomeno, a narrare nella sua opera. Le condizioni catastrofiche degli avvenimenti diedero luogo ad episodi di cannibalismo per la sopravvivenza.
Qui, abbiamo un uomo spogliato della sua umanità, un uomo privo d’ogni carattere morale che è prossimo alla morte. Commovente è anche la necessità dei soggetti di appoggiarsi gli uni agli altri, come per alleviare i loro mali.
Si tratta di una vicenda disperata ancor più che macabra; un dramma che, però, non può esser definito d’altri tempi, poiché a distanza di due secoli esatti risulta essere ancora terribilmente attuale.
La maestosità di questo dipinto risiede nella sua immortalità.
Angela Cerasino per L’isola di Omero